Selasa, 11 Desember 2007

4/5/2006 - «Voglio credere nel cambiamento» - Marina Forti [ Voltar ]

Per andare a casa di Pramoedya Ananta Toer percorriamo un viottolo d'aspetto campagnolo, tra casette modeste e minuscoli cortili ombreggiati da banani, dove i bambini giocano per strada, un carillon annuncia il gelataio in bicicletta e il traffico delle grandi arterie di Jakarta arriva come un brusio attutito. A 75 anni, Pramoedia è uno dei maggiori scrittori dell'Indonesia, capostipite di una generazione di intellettuali che ha lottato per costruire un'identità collettiva in un paese grande e composito, dominato per secoli da una potenza coloniale, l'Olanda. Nei suoi romanzi e racconti ha descritto l'Indonesia in bilico tra la vecchia società feudale e la modernità, il collasso della vecchia leadership aristocratica giavanese e l'oppressione del colonialismo.
«Ho sempre usato la scrittura come strumento di battaglia per l'emancipazione sociale», ci dice, mentre due giovani militanti del Partito radicale democratico (Prd) che ci hanno accompagnato fin qui lo ascoltano con venerazione, come un maestro. «D'altra parte proprio da questo sono nate tante mie difficoltà con il potere. In fondo io ho solo messo in pratica nella mia scrittura l'insegnamento di Sukarno, la "costruzione della nazione e del carattere nazionale". L'Indonesia è una nazione recente. Solo di recente è passata da paese soggiogato a nazione sovrana, e da allora ha ancora conosciuto una miriade di problemi. Io credo che la scrittura abbia un ruolo politico: nel momento stesso in cui riconosci il potere, sei nell'ambito della politica. Accettare o rifiutare la cittadinanza, nel senso di appartenenza a una collettività, è questione politica. E io non accetto la mia cittadinanza in modo gratuito, forse è perché sono tra quelli che hanno lottato per affermarla». Battaglia politica e culturale: «Credo che i problemi dell'Indonesia abbiano ancora radice nella sua vecchia cultura. L'élite politica mantiene i modelli culturali e la gestione del potere del passato. Finché non riusciremo a cambiare questa vecchia cultura, la politica resterà autoritaria. (...) Per questo credo che la scrittura abbia un ruolo politico. O almeno, io l'ho sempre intesa così».
(...) Parlare di letteratura e di politica dunque è tutt'uno, con questo signore dall'aria fragile avvolto in un elegante sarong. Pramoedia non si fida del suo inglese, né di traduzioni approssimative: farà da interprete l'esperta di lingua e cultura indonesiana Antonia Soriente. Lo scrittore è pessimista sull'esito del processo all'ex presidente Suharto. «Andranno fino in fondo? Non credo. Nell'ufficio del procuratore generale sono numerosi i residui del vecchio regime, Orde Baru, il «Nuovo Ordine» di Suharto. La burocrazia statale è ancora quella, e pure polizia e forze armate.».
L'Indonesia si domanda come chiudere con il passato, qualcuno propone un'operazione di «verità e riconciliazione» come in Sudafrica dopo l'apartheid. Lei ha polemizzato con questa ipotesi.
(...) Per me, non ci sarà riconciliazione senza prima riconoscere tutti i crimini dell'Orde Baru. (...) Un milione e mezzo di persone sono state private della libertà durante il suo regime. (...) No, la strada giusta per fare i conti con il passato, in Indonesia, è ristabilire la giustizia legale, processare Suharto e tutti i responsabili di anni di repressione. Se uno stato non sa fondarsi su giustizia e legalità, tanto vale che abdichi.
Lei sta lavorando per fare luce sugli avvenimenti del 1965...
Sì, sono tra i promotori di una Fondazione per la ricerca delle vittime del 1965. E' un lavoro di documentazione e ricostruzione. Vede, non so se sono più capace di scrivere come una volta: credo di aver perso la concentrazione necessaria. Ma m'interessa la geografia - intendo geografia umana e sociale. E la storia di quegli anni: bisogna ancora spiegare come andarono le cose. Ci tengo a spiegare il ruolo che ebbe la Gran Bretagna (...). Tra il 1963 e il ོ Londra ha usato più volte la minaccia d'invasione contro il governo di Sukarno. (...) Certo, anche la Cia aveva il suo interesse: tutti gli stati capitalisti desideravano la caduta di Sukarno per il suo orientamento antimperialista, anticoloniale, anticapitalista. Ma chi ha avuto un ruolo diretto nel destabilizzarlo sono stati i britannici. (...)
I giovani indonesiani di oggi, gli studenti che hanno fatto il movimento contro Suharto, cosa sanno di cosa avvenne nel 1965?
Molto poco. I giovani di oggi, almeno quelli che combattono per la democrazia, sanno che Suharto nei suoi 32 anni di potere è stato ingiusto e ha commesso dei crimini. Ma che la sua ascesa al potere sia fondata sul massacro dei comunisti non lo sanno: l'uccisione di forse 500mila persone è un capitolo della nostra storia rimasto nell'ombra. (...) Questi giovani hanno speranza ed entusiasmo. Personalmente sono portato al pessimismo, ma penso anche che bisogna dare fiducia a questi ragazzi. (...) Fino a prova contraria sono loro che hanno fatto cadere Suharto. Aiutati da diverse circostanze, certo, e sostenuti da altri settori della società, ma il motore degli eventi sono stati loro. Gli va riconosciuto. Credo che queste nuove generazioni possano costruire qualcosa. Speranza? No, io sono più portato a credere che a dire «lo spero». Sono stufo di sperare. Bisogna credere nelle cose.

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(dal sito del non-profit italiano: www.vita.it)

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